L’imminente formazione di un governo presieduto da Mario Draghi rende utile una riflessione sulla politica che ci ha portato a questo punto.
Dopo le elezioni del 2018 che hanno segnato il grande successo del Movimento Cinque Stelle abbiamo avuto due governi definiti il primo giallo verde (M5S e Lega) e il secondo giallo rosso (M5S e PD), entrambi presieduti da Giuseppe Conte.
Qui dobbiamo constatare una prima anomalia. Si sono spese e si continuano a spendere molte parole di critica per i numerosi governi che si sono succeduti nella cosiddetta prima repubblica, nel corso della quale, tuttavia, il cambio di governo era sempre legato alla modifica di equilibri politici interni ai partiti o al cambio di alleanze. Mai si era visto, come con Conte, lo stesso presidente per alleanze di segno opposto.
Questo è stato possibile per la concomitanza di alcuni fattori: innanzitutto il desiderio irrefrenabile del PD di tornare al governo in una legislatura in cui aveva ottenuto uno dei suoi peggiori risultati elettorali. In secondo luogo la fluidità del M5S per il quale non esiste un’identità definitiva ma, come si è ben visto in queste settimane, manifesta una capcità di cambiare idea e programmi secondo convenienza.
C’è però un terzo elemento che non va sottovalutato. Qualche giorno fa, Antonio Polito sul “Corriere della sera” poteva scrivere che il movimento di Grillo ha «una concezione caricaturale della democrazia». Giudizio interessante e pesante come pochi, non fosse che lo si leggeva su un quotidiano che ha fatto da sponda – assieme a molti altri– alle avventure del Conte bis. Se c’era un governo con una concezione caricaturale della democrazia ci saremmo aspettati ben altri atteggiamenti dai “difensori ad oltranza” della Costituzione nazionale.
L’avvento di Draghi segna una cesura non da poco con gli anni che abbiamo alle spalle. Innanzitutto perché l’uomo – non parlamentare come Conte ma a differenza di lui ben introdotto nei centri decisionali delle istituzioni nazionali ed europee – è persona competente e affidabile sia sul piano del consenso popolare (se stiamo ai sondaggi) sia su quello dei poteri che contano (vedi il calo dello spread e il segnale delle borse).
Si trova inoltre ad assumere la responsabilità del governo quando i partiti presenti in Parlamento hanno fallito e questo può aprirgli uno spazio di manovra importante per affrontare i problemi della pandemia e della crisi economico e sociale, senza dimenticare l’importante accenno fatto al problema della scuola.
Gli può servire da viatico l’identikit del politico come lo delinea Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti: «Il politico è un realizzatore, è un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio, realistico e pragmatico».
Lo sguardo ampio non gli manca, la visione che ha tratteggiato anche nell’intervento al Meeting di Rimini dello scorso anno è promettente; il realismo e il pragmatismo sono nel suo Dna, come documenta la sua storia.
Detto questo e augurando al nuovo governo di sapersi prendere in carico le incertezze e le difficoltà del nostro Paese, non possiamo non riflettere sullo stato della politica e, di conseguenza, delle istituzioni del nostro Paese.
La politica è anche confronto e scontro, a volte aspro, comprensibile e giustificabile solo se si ha davanti il bene del Paese e non qualche punto percentuale nei sondaggi. Veniamo da anni di confusione istituzionale: il continuo cambiamento dei sistemi elettorali, la svalutazione del ruolo del parlamento, la pseudo democrazia diretta hanno creato l’allontanamento di molte persone dalla vita politica e istituzionale.
Servirebbe una riforma costituzionale condivisa – non fatta per interessi di parte – che chiarisse i reciproci ruoli di governo e parlamento in modo da rafforzare l’esecutivo e nello stesso tempo difendere e valorizzare la rappresentanza parlamentare; che mettesse ordine nel rapporto tra Stato e Regioni precisando i compiti e rafforzando gli spazi di autonomia.
Per questo sarebbe auspicabile che la personalità di Draghi possa essere il garante di un confronto parlamentare che porti a rivedere le regole del gioco democratico, senza forzature o prevaricazioni.
È stato fatto una volta per la Costituzione in tempi molto più difficili e travagliati di oggi. Perché non provarci oggi?
Didascalia: La firma della Costituzione il 25 Giugno 1946